Ricordando la scomparsa di papà
Caro papà,
sei andato via per primo in famiglia lasciandoci impreparati alla nuova condizione. Nonostante il triste evento fosse prevedibile per le tue condizioni di salute precarie sei andato via senza farlo apparire, quasi di nascosto come un atto finale da compiere nel più breve tempo possibile. Ricoverato dalla mamma all'ospedale del capoluogo di provincia del nostro paese alcuni giorni prima di natale di un freddo dicembre del 1981 ci siamo visti a giorni alterni dopo il mio arrivo in Sicilia il 23 dicembre. Ricordi che la mattina del primo incontro ho affittato un'auto per venirti a trovare in ospedale, per poi andare a casa al paese e raggiungere la mamma? Avevo fatto più di mille chilometri in treno per venirti a trovare, preoccupato dalle notizie che mamma mi diede per telefono. Con lei poi sono venuto a farti visita il giorno di Natale e poi di nuovo il 27 e il 29 di mattina per riuscire a prendere nel pomeriggio alle 15 l'autobus per casa. E quella fredda e grigia mattina del 29 dicembre, ultimo nostro incontro, insieme alla mamma ti abbiamo portato un po' di sollievo. Poco purtroppo. Il cambio di biancheria, dei fazzolettini di carta e tanto, tanto affetto non hanno ottenuto l’esito sperato. Io mi sedetti accanto a te sul tuo letto ti ricordi? Ti toccai le punte dei piedi. Erano fredde. Tu ti lamentavi di questo. Anche le dita delle tue mani erano fredde. C’era un inquietante contrasto di temperatura tra le estremità del tuo corpo e il viso che ti ho accarezzato più di una volta. Ma speravo come sempre che la tua forte fibra ti consentisse di superare anche questa ultima e dolorosa esperienza di ospedale della tua vita. Avevi compiuto 73 anni il mese precedente ma ne dimostravi purtroppo molti di più, dopo l'operazione chirurgica allo stomaco. Quella mattina ti guardai negli occhi e capii che le tue condizioni erano critiche. Andai al bar a fare colazione perchè avevo fame. Era quasi mezzogiorno. Mezz'ora dopo, di ritorno, non ti trovai più nel lettino e non c'era neanche mamma. Un infermiere mi disse che avevi avuto una crisi e che un'autoambulanza ti stava accompagnando a casa nostra in condizioni disperate. Dovetti attendere quasi tre ore alla fermata dell'autobus per iniziare il viaggio verso casa per raggiungerti. Non fu un viaggio ma un calvario. Vedevo alcuni viaggiatori salire e scendere dalla vettura senza che ne conoscessi uno. Volti inespressivi, figure indistinte e lontane di cui non trovavo alcun interesse verso di loro. Attraverso il finestrino osservavo il panorama che non mi sembrava lo stesso di tutte le altre volte. Avevo il cuore gonfio e trattenevo con difficoltà le lacrime. La strada non finiva mai, le curve si susseguivano e a me sembrava che la strada fosse percorsa troppo lentamente. Non si arrivava mai. Guardavo dal finestrino continuamente per evitare di incrociare lo sguardo degli altri. Fu un viaggio doloroso e angosciante, impossibile da descrivere oggi per il carico di amarezza che ero costretto a portare dentro di me. Alle 18 quando arrivai a casa. Era già buio. Ti trovai vestito disteso sul lettino della tua camera da letto, ormai immobile per sempre. C'erano i vicini di casa che ci aiutarono molto. Io ti guardavo con sgomento e rispetto, consapevole che nel tuo corpo tu, il mio caro papà, non ci fossi più. Eri andato via, lontano da me e da tutti, per sempre. E ora, mi chiesi, come farò a vivere senza di te? Come sarà la mia vita e quella di tutti noi senza averti più al nostro fianco? Chi ci aiuterà nelle quotidiane faccende di casa? Chi ci cucinerà il pranzo, tu che eri orgoglioso di cucinare per noi nel migliore dei modi? Chi ci avrebbe fatto più le quotidiane iniezioni di fiducia che solo tu sapevi fare così bene a tutti noi? Come avrei potuto andare avanti al pensiero che tu, il capofamiglia, la nostra sicurezza, saresti stato assente da casa per sempre? Il mio cuore sembrava come se fosse stato trafitto da aghi per mortificarmi nel corpo e nello spirito. Un fiume di angoscia mi permeava il petto. Guardai mamma e mio fratello. Sembravano coraggiosi più di me e mostravano una forte dose di autocontrollo. I vicini di casa avevano portato da mangiare e mi spingevano ad andare in cucina a inghiottire qualcosa. Dunque, erano queste le sensazioni che provavano tutti coloro i quali perdevano il proprio padre? Me lo ero chiesto tante volte in simili circostanze. Ma avevo smesso quasi subito di pensare a questa idea perchè non avevo interesse nelle sensazioni provate dagli altri. Pena, sofferenza e tormento mi perseguitavano in quelle ore di quel fine triste anno. Tentavo di pensare a come sarei stato in futuro senza di te ma non riuscivo a prevedere nulla. Il mio cervello si rifiutava di pensare, immaginare, indovinare. Intanto si era fatto tardi e la stanchezza di una giornata unica, terribile, insopportabile e indimenticabile come quella trascorsa si faceva sentire. Presi nota che era il 29 dicembre 1981. Avevo 35 anni. "Non dimenticherò mai questo giorno. Te lo prometto" dissi in cuor mio. C'era da pensare a tante cose. Il tuo funerale innanzitutto. A tarda sera tutti i vicini ci lasciarono al nostro dolore e al nostro raccoglimento. Nessuno di noi disse nulla. Andammo a dormire come degli automi con i nostri pensieri e le nostre preoccupazioni. Non era il momento di chiacchierare quello. Il 31 dicembre mattina ci fu il tuo funerale. Ricordo che durante la messa in chiesa dovetti farmi forza molte volte per trattenere le lacrime. Non volevo dare l'idea di una persona debole. Ci riuscii ma a fatica. Al cimitero fu una lunga processione di cenni di baci sulle guance e strette di mano più variegate: da quelle robuste a quelle delicate. Chi mi invitava ad essere forte. Altri a seguire la strada del destino. Qualcuno a consegnarmi nelle mani del Signore. Alla fine fummo accompagnati in macchina a casa, non ricordo da chi. Entrai e la vidi improvvisamente spoglia e insonora come mai avevo visto e sentito casa mia. Addirittura se qualcuno di noi tre apriva la bocca le sue parole si spegnevano quasi subito. Il motivo forse era dovuto al fatto che quel silenzio ci permetteva di ascoltare meglio la tua voce interiore, caro papà, quella di sempre che ci rassicurava e ci diceva di non preoccuparci perchè la vita continuava, malgrado tutto. La tua longevità non so quanto l'avrei pagata in quel momento e invece tu non c'eri più, caro papà. Quel tremendo vuoto dopo il funerale che in quel momento percepivo dentro di me a casa nostra fu per me un colpo al cuore insanabile. Entrai nel corridoio del primo piano che da bambino avevo percorso tante volte di corsa allegro e vispo come non mai e lo vidi anonimo, estraneo e respingente. Il cuore mi batteva forte. Mi appoggiai allo stipite della porta e dissi ad alta voce: "e adesso come faremo"? Mi aspettavo solidarietà dagli altri due membri della famiglia. Ma mio fratello non disse nulla e mia madre andò in cucina a preparare qualcosa da mangiare. Nessuno voleva parlare. Il tavolo della cucina quel giorno fu l'unico legame in grado di vederti ancora presente nella mia mente a mangiare con noi, sebbene il silenzio irreale che ci circondava era palpabile. Ciao papà. Dolce caro papà. Non ti dimenticherò mai.